Jaime Rocha

Jaime Rocha - Portogallo


Nazaré - 1949

1.

La città scopre un uccello in uno

specchio. E l'uomo trova un nervo in questa

visione, un senso. Sotto una fontana marcisce

una statua. La sua anima si batte sui muri.

Si disfà, oscura linea fra le rose. Come

i diversi fiori che all'alba il mondo

crea. Si nascondono dietro un ampio telo

di plastica. In quest'abisso, in un cratere

luminoso ancora nasce il crimine di quest'uccello



2.

Venuta la notte, quello danza folgorante

e ubriaco, come una spada di sangue

nel deserto. Si svuota la città nelle sue case

e inventa un albero morto, un sogno circolare

che si smorza in un gomitolo fra le dita.

E quando muore la notte e gli uomini resuscitano

lui porta una tavola nel suo petto

come un virus che rosicchia il suo stesso figlio.



49.

È il colore del sangue che fa paura all'uccello.

Il suo volo si dirige verso una piramide

dalla quale il suo grido maledice l'uomo.

Gli ultimi esseri al mondo allora si ritrovano

nella stessa galleria aperta da una macchina.

Tutti i suoni si ammassano come

se passassero per un camino. Non si vedono

più donne al fiume né bambini ai pozzi.

Due vegliardi camminano lungo

un cortile parlando chiusi nelle loro memorie.

La loro testimonianza è sepolta nel piano

ma nasce in un altro luogo volto verso le case.



50.

Lo specchio lascia allora uscire da se stesso un uomo

che uccide la propria ombra con un martello

In questa esplosione definitivamente muore

l'uccello e la città si sveglia coricata sulla luna.

Una donna si alza sotto un vestito simile

a un azulejo. Il suo corpo libera un fiore

che circonda tutti gli uccelli e riapre la chiarezza.

Quando uno l'interroga sul tempo dei morti

lei lancia un profumo bianco al suolo

e le maschere si disfanno come una carta portata

dai flutti. Solo un segreto rimane - una musica

rischiarata dal fuoco - un filo di acciaio


***


Poesia a Gaeta

per Giuseppe Napolitano


Sono i poeti come uccelli: saltano

di albero in albero ad incontrare parole.

Sono come bambini che disegnano quadretti

e poi guardano il mare dalla Via Marina

di Serapo in cerca di isole incantate.


Sanno di gelsomino le notti di Gaeta

e la luna tutta intera cresce attraverso il cielo.

Lentamente le barche fino all'aurora

si spengono - spingono l'acqua alla collina

di Formia e intanto nell'oscura magia

della spiaggia c'è un poeta che recita

Rimbaud nel silenzio delle onde.

È la voce di Moncef - la voce del deserto

che salva i pescatori dal naufragio

e li guida alla costa fino alle grandi rocce.


Ci sono gatti sui muri di Gaeta

e rovine che nascono fra le piante

e tutte le illusioni si vanno a riflettere

in una cappella d'oro addormentata

in mezzo alla città. Ci sono donne

che cantano al sole e marinai che fumano

sui marciapiedi del lungomare Caboto.


Una memoria d'antico attraversa le vie-

si diffonde sui muri e sui vasi restando

incisa nei pensieri degli uomini - come

se un naviglio greco sorgesse dall'oceano

portando Ulisse ed Orfeo legati a una corda

tirata da tutti i poeti del mondo.

Tutto questo a Gaeta la bella -

Gaeta della Montagna spaccata.

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