Enán Burgos
Enán Burgos (Colombia - Francia)
Di ritorno nel mio buco
Di ritorno nel mio buco, in questa città decorata con finti palmizi verdi, dove io vivo in terra gallica...
Ricordandomi dei bei momenti passati nelle assolate contrade in provincia di Latina, mi prende la voglia di mollare tutto e partire e andare lontano, lontano assai da questo paese anchilosato e glaciale, governato da un pic-colo principe che ha nome Gran-coglione-so-tutto-io. E quando dico piccolo principe, è proprio il modo giusto di parlare di questo falso Priapo dal naso a uncino, che non misura più di un metro e cinquanta. Il nomignolo che gli hanno dato i suoi nemici gli va come un guanto, poiché, mentitore incallito, ogni volta che mente, non è affatto il suo naso, come quello di Pinocchio, che si allunga, ma uno dei suoi testicoli che si gonfia verso il basso - quello destro, per essere precisi. Ora, in volgare gallico, di un simile stallone, si dice che è un gran coglione.
Di fatto, il nominato monarca si vanta davanti alle telecamere delle televisioni del mondo intero di essere onesto e franco, ma, dietro la corretta apparenza di onorevole azzecca-garbugli, si nasconde una vipera detestabile. Camaleonte al momento, sa molto bene trasformarsi in pecorella o in lupo, secondo le circostanze e i sondaggi più o meno favorevoli alla sua rielezione.
Cambia idea come cambia le camicie. Se ieri ha detto blu, oggi dirà rosso, domani verde e dopodomani certamente il colore contrario. Dissimula le sue ambizioni e la sua malevolenza dietro una smorfia da cane bastonato, alla quale si aggiunge, nonostante la gran quantità di barbiturici che ingolla, una catena di tic nervosi che tradiscono i suoi propositi, svelando le segrete sue intenzioni.
Poco importa quel che fa. Issato su dei tac-chetti e mascherato da giraffina, sempre si distingue per la sua maniera così particolare di camminare, poiché ad ogni passo che fa, deve divaricare le gambe per evitare che il suo grosso organo si trovi incastrato, il che sarebbe senza dubbio molto spiacevole, e lo metterebbe in cattiva posizione, facendo rizzare peraltro la peluria della sua toga da despota. Di questo scellerato, il grande Giovenale, in una delle sue satire, la terza credo, fa un ritratto ben preciso. Il che confermerà, come si dice, la seguente verità: malgrado il passare dei secoli, i progressi della tecnologia e delle scienze e la democrazia regnante, l'uomo è stato, è e sarà sempre un lupo per l'uomo.
In mezzo a una tale tristezza, la cosa più penosa è che il popolo gallico, ateo, ribelle per natura, si inginocchia religiosamente davanti a questo giocattolo a tre gambe. Il quale, cinico e rozzo, festeggia le sue vittorie nei lussuosi lupanari alla moda, sempre senza pagare un centesimo, a spese del fisco o grazie alla carità di un amico, magnate e fellone insieme. Al quale, più tardi, davanti alle telecamere di tutto il mondo, il tartufo non si esimerà dal fare una lezione di morale, minacciando di sbatterlo in prigione o di spogliarlo di qualche vantaggio o privilegio. Cosa che il popolo, amorfo davanti alla televisione, evidentemente approva, a bocca aperta, sbavando morto di fame.
Povero, senza un soldo, frustrato perché non posso andarmene, per consolarmi un po' mi rifugio nell'elisir di un falerno invecchiato, che mi resta fortunatamente di questo paradisiaco viaggio sotto il cielo dell'antica Roma.
***
Gaeta fra mare e cielo
(Formia, 23 Agosto 2009)
Sono qui. Più povero e meno grande
davanti all'immensità che mi è vicina
parlando di ieri con le voci del presente
che nei momenti torridi a volte non si odono
quando l'azzurro così esteso
alberga nelle sue pagine un lamento infinito.
Cambiare luogo. Andare a Gaeta
attratto dal profumo dei fiori
ancorato lì nel suo golfo.
E fra le pelli luminose amare e tornare ad essere
il Dio giardiniere in accordo alla bellezza.
Occhi nudi felici: anche se
povero di oro e affogato sia il mio animo
il mare passeggia allegro sul mio petto...
la chiarezza che vola rima fulgore e brezza
e
schiude all'orizzonte il bocciolo del seno
Così canta la speranza
fatta onda fatta barca fatta stella
Il sole e i gabbiani sollevano il desiderio
È femmina Gaeta ubriacata dai baci
che mi chiama e mi parla
e mi ama e in segreto io l'amo...
Isola sei - sono il tuo naufrago
- vivo del tuo tesoro
L'eternità mi bacia
a Gaeta, fra mare e cielo
***
Miraggio
oceano nero ci trascina il fango eterno
portandoci alla tristezza - fino a quando
nella sabbia la sua immensa
prosa? - onde vengono e vanno
non so se sto nuotando dalla vita
alla morte o dalla morte alla vita...
marinaio che naviga nella nostalgia
affondando improvviso in se stesso...
occhi faro a dare luce fino all'alba
incessante mareggiata - l'onda soffia sulla riva
- resteranno vestigia domani...
quiete che precede il filtro immediato di sé...
anche se è sordo il mio orecchio
io intendo la notte e i suoi cieli
e infine dal suo letargo
la chiocciola terrena si risveglia!
porto delle tenebre il mio cuore
mai si è sentito così tanto triste
- suoi battiti tamburo delle onde...
alla deriva e solo per questo mare aperto
spiega le vele del naviglio amato
quando il mio sangue la tempesta
converte in torrente naufragano le mie gioie
malgrado l'opulenza del mare
il mio sguardo si chiude
io non pronuncio alcuna parola
la sorgente inondata singhiozza
e sommerge le mie speranze
alba d'amore arrossiscono costellazioni
gocciolano carezze sul tuo corpo
libido ardente di onde innumerevoli...
la schiuma di riccioli fragranti
nell'alcova di un alato sospiro
e l'ossido perfino ritrova il suo lampo dorato
sangue e fiamma del crepuscolo
gabbiani che desidera a volte il cielo
impronte sulla sabbia che vanno e vengono dall'albero
caduto al molo distrutto... a chi appartengono?
a me forse a un me diverso
profondo mostro marino
mai contento di quel che io sono
miraggio dentro vibrante trasposizione del fuori
cristallo di farfalla calcinata
un cielo abbellito di cui sono
gli uccelli autori dell'estasi
istante che dona ai miei occhi
il maleficio di ogni finzione
bianca perla del tramonto o fantasma dello sguardo!
incagliarsi di parole - nera
in me comincia la sera
mare interiore che non mi contiene ma mi parla
segretamente mi narra l'ansia delle onde
circondato io sono risvegliato
dai pesci di schiuma
mano ardente e nuda della luce
il sangue umano che rischiara il sole
là dove le barche muoiono tutto è sogno
tronchi e rami del desiderio lì incagliato
e la memoria che insieme si sfoglia
fuggendo l'assenza... realtà che tutto brucia
acque vele alberi e prue come un naufragio e resta
ancorato nello specchio del tuo volto
prima che faccia notte... miraggio marino di quiete
desidero ancora guardarti!
mare senza respiro le tue onde
trattenute in me... quando nel petto lente
mormorano le ore... letargo del vento
malinconia di barche
tutto è inclinato tranne la pioggia
abisso immenso...
cristallino ha il potere dei sogni
opaco ti riempie il petto di lacrime
fluido di vita o morte
nella solitudine del tuo corpo...
vestito di lune
vibrante e calmo - avido
come l'occhio innamorato di un ciclone